Conversazioni col vento

di Maria Clotilde Arena

Conversare col vento e non “parlare al vento” che indica la vanità di un gesto o di un’intenzione, e neanche sentire il vento o ascoltare il vento, ma “conversare “, sembra che Barbagallo intenda questo termine nel suo etimo più vero: cum versari, trovarsi insieme. Questa può essere la chiave di lettura delle opere su carta che Barbagallo propone.
Intrattenersi con un elemento mobile, sfuggente, dagli umori contrapposti, forte e docile, impetuoso o leggero, sembra questo il rapporto dell’artista con l’inchiostro, il suo vento sulla carta. Piccoli fogli sembrano contenere grandi spazi, voragini e vortici, intrecci inestricabili e spazi rarefatti. Sembra, ad una prima lettura, che Barbagallo si allontani dalle superfici scure e tormentate delle opere su tavola degli ultimi anni, dai riverberi del ferro e del rame che hanno caratterizzato la sua produzione recente, ma quei “… passaggi cromatici leggeri che accompagnano e ravvivano la visione del pullulare di microscopici eventi, un fermento di luci che s’accorda con quello incessante della materia…” (V. Corbi) sembrano trovare, nella consistenza impalpabile dell’inchiostro, una nuova determinazione.
E allora appare naturale questo passaggio da una visione frontale e compatta che non apre orizzonti ad una leggerezza di spazi vuoti, alla chiarezza che invade le cellule e diventa un sapere senza erudizione, un vento senza meta, respiro che spinge avanti la vela del corpo. Barbagallo sembra sottolineare che tutto è irripetibile e transitorio, come noi, come i fogli di carta, teatro di microscopici eventi; sembra individuare il punto dolente del nostro tempo, che è diventato un magazzino straboccante, un ripostiglio dove tutto si accumula e mai nulla viene gettato via, accumulando altra roba nel misero metro quadrato della nostra attenzione e la pila si alza ancora un altro po’, si inclina, vacilla, ci seppellisce.
Gli inchiostri di Barbagallo sembrano fermare piccoli cosmi nel momento del loro divenire, piccoli varchi nello spazio perché “… alla deriva / c’è invece il mare / il mare aperto infinito / alla deriva / c’è finalmente la vita / filtrata digerita / c’è la leggerezza / del corpo vuoto” (S.Toma)

 

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